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Attività sindacale e diffamazione militare: la questione rimessa alla Corte Costituzionale
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📌 Quando la Corte Costituzionale dice "no" alla questione sulla diffamazione militare: riflessioni da sindacalista
Può un militare che denuncia irregolarità nell'esercizio dell'attività sindacale essere processato solo con pena detentiva? La Corte Costituzionale ha appena risposto con la sentenza n. 127/2025, ma non come ci si aspettava (depositata in Cancelleria il 24/07/2025).
Il caso che ha scatenato tutto ⚖️
Da quanto si evince in sentenza, la vicenda nasce da un appuntato scelto dei Carabinieri che, nell'ambito della sua attività sindacale, aveva segnalato attraverso email a redazioni giornalistiche e al Ministero della Difesa presunte irregolarità: un militare che coltivava un terreno agricolo durante l'orario di servizio, utilizzando risorse idriche della caserma.
Il GUP del Tribunale militare di Napoli, chiamato a decidere sul rinvio a giudizio per diffamazione militare (art. 227 del codice penale militare), aveva sollevato una questione costituzionale cruciale: è legittimo punire la diffamazione militare solo con la reclusione, senza prevedere alternative pecuniarie?
Il ragionamento del giudice (e perché sembrava convincente) 💡
Il GUP aveva costruito un'argomentazione solida, richiamando:
- La giurisprudenza della Corte EDU che considera sproporzionata la sola pena detentiva per la diffamazione
- La sentenza della Consulta n. 150/2021 che aveva dichiarato illegittima una norma simile sulla stampa
- Il fatto che la condotta era avvenuta nell'esercizio dell'attività sindacale, ora riconosciuta anche ai militari
L'idea era semplice: se la Corte Europea considera eccessiva la pena detentiva per la diffamazione "civile", perché dovrebbe essere diverso per quella militare, soprattutto quando commessa nell'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti?
La "doccia fredda" della Consulta 🚫
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione per due motivi tecnici ma significativi:
1. Questione prematura
Il GUP non doveva ancora applicare la sanzione, ma solo decidere sul rinvio a giudizio. La Consulta è stata chiara: non si possono sollevare questioni su norme che non si è chiamati ad applicare.
2. Sottolinea carenza argomentativa
Qui il ragionamento è controverso, perché se da un lato la questione non è di competenza del GUP, si tracciano richiami ad elaborazione necessaria dell'interprete, raggiungendo l'assenza di argomentazione sulla questione "se l'attività sindacale potesse costituire una qualche causa di giustificazione o meno" e quindi sulla decisione, anche per questo elemento, circa il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere.
Conseguenze pratiche per il mondo militare e sindacale 🎯
Questa decisione, pur essendo un "non liquet" procedurale (questione improcedibile), può ben far emergere diversi spunti:
Per i sindacalisti militari:
- L'attività sindacale nelle Forze Armate resta un terreno delicato
- È fondamentale valutare sempre i limiti dell'esercizio del diritto di critica
Per gli avvocati:
- Attenzione ai tempi processuali per sollevare questioni costituzionali
- Necessità di valutare sempre tutte le possibili scriminanti
- Il tema della proporzionalità delle pene resta aperto
Per il legislatore:
- La questione di fondo (sproporzione della sola pena detentiva) non è stata risolta
- Potrebbe essere necessario un intervento normativo diretto
La mia riflessione da "addetto ai lavori" 🤔
Come dirigente sindacale e cultore appassionato delle discipline giuridiche, questa sentenza mi lascia con sentimenti contrastanti. Da un lato, apprezzo il rigore procedurale della Consulta - le regole processuali esistono per garantire la serietà del giudizio costituzionale. Dall'altro, non posso non notare che la questione sostanziale rimane irrisolta.
Premesso che l'attività sindacale non è certo esente dal rispetto delle regole e quindi deve essere ispirato da correttezza, lealtà ai valori di giustizia ed equità sociale, è chiaro che spesso nel confronto o nelle comunicazioni possano esservi terreni limbici, trattati a seconda delle sensibilità. L'esercizio di attività così delicate, presuppongono quindi tutele affinché vi sia efficacia nella rappresentatività sindacale. Talvolta il principio del "neminem laedere" non è così netto, come abbiamo visto nell'ambito giornalistico in contro bilanciamento al diritto di opinione, o in quello parlamentare con l'insindacabilità connessa al proprio mandato (ex art.68 Cost.). Se poi la tutela è penale, ed addirittura rafforzata da una pena più grave per la "conditio militaris", appare evidente un diminuita efficacia nelle tutele dei dirigenti sindacali, esposti a gravi ripercussioni non certo desiderabili.
Il punto cruciale è che l'attività sindacale, anche in ambito militare, è un diritto costituzionalmente garantito. Prima la Corte Costituzionale, poi la Legge n. 46/2022 ha finalmente riconosciuto questo principio anche per le Forze Armate. Viene però il dubbio che se l'esercizio di questo diritto può portare a conseguenze penali sproporzionate, il rischio è quello di un "effetto deterrente" che svuota il diritto stesso di significato.
La Corte, pur non entrando nel merito, ha osservato che il giudice non aveva preso in considerazione se l'esercizio del diritto sindacale potesse costituire una causa di giustificazione. Questo aspetto procedurale sottolinea l'importanza di valutare sempre le possibili scriminanti nei casi che coinvolgono l'attività sindacale militare.
Chissà che il proseguo del procedimento penale militare in questione non permetterà di ritornare in argomento, durante le fasi del giudizio o negli eventuali vari gradi.
La questione fondamentale, come è evidente, ancora non è del tutto chiusa.
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Cosa ne pensate? Credete che sia necessario un intervento legislativo per riformare l'art. 227 del codice penale militare? O pensate che le garanzie processuali esistenti siano sufficienti?
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#Diritto #DirittoCostituzionale #SindacatoMilitare #CorteCostituzionale #DirittoSindacale
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Avvertenza: Il contenuto del presente elaborato riflette unicamente le posizioni personali dell'autore, formulate nell'esercizio della propria attività sindacale, e non costituisce posizione ufficiale né dell'Amministrazione di appartenenza né dell'Organizzazione sindacale rappresentata.
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